L’ultima avventura
letteraria di Franco Ungaro prosegue, dopo Lecce sbarocca, lungo il solco della
narrazione urbana. Con Vado a Lecce. Artisti storici e scrittori in giro per la
città, Ungaro ha raccolto e selezionato testi di oltre quaranta autori,
salentini e non, che dagli anni Quaranta a oggi hanno raccontato Lecce
attraverso parole, canzoni e poesie, articoli e saggi. Di cosa si tratta,
allora? Una guida letteraria, un’antologia, un florilegio di citazioni? Come
scrive Massimo Bray nella prefazione «la multiforme raccolta di Ungaro non si
limita certo a questo: mescola generi e lingue diverse – marble floor e marble
stairs sono ciò che colpisce l’immaginazione di Lee Ranaldo in Lecce, Leaving,
mentre il grande tenore Tito Schipa canta in salentino la sua Lecce gentile e
beddha come un vero e proprio paradisu ’nterra – e ci offre allo stesso tempo
un affresco della città che narra sé stessa attraverso i suoi artisti,
scrittori, giornalisti e poeti, e un mosaico di impressioni fugaci, emozioni,
meditazioni scaturite dalla penna dei viaggiatori che l’hanno visitata.». L’affresco
che ne viene fuori è di una città che incanta e sorprende, emoziona e ammalia,
come pure di una città che, non di più e non di meno di altre città, nasconde
colpe inconfessate, limiti e contraddizioni. C’è la Lecce affascinante dell’oro
e della pietra barocca che aveva sorpreso Cesare Brandi, Guido Piovene, Mario
Praz, ma anche Raffaele Nigro, Ferdinando Boero, Roberto Cotroneo e quella
poeticamente crepuscolare di Vittorio Bodini, Ercole Ugo D’Andrea, Fernando
Manno e Antonio Errico. C’è chi racconta il passaggio dalla città povera e
contadina degli anni Quaranta (Bianciardi) e Cinquanta (Anna Maria Ortese, Rina
Durante) a quella gaudente degli anni Ottanta con i prodromi della movida
perenne di Armando Tango, Osvaldo Piliego, da quella visceralmente irrequieta e
febbricitante di Raffaele Gorgoni, Edoardo De Candia, Tonino Caputo a quella
‘patafisica’, strampalata di Nonciclopedia o alla Lecce innevata di Bjorn
Larsson. C’è Lecce vista con gli occhi e il cuore di Moustapha Wissam, migrante
dal Libano. C’è la Lecce degli innamorati ciechi (Tito Schipa) e quella degli
innamorati esigenti (Vittorio Pagano, Claudia Ruggeri), autori per i quali la
geografia si fa poesia, atlante dei sentimenti. Lecce viene raccontata in auto
da Giorgio Caproni, in bicicletta con gli strani incontri di Bruno Brancher, a
piedi da Antonio L. Verri, da una moto come fa il rapper Aban oppure da un
treno in partenza (Mario Perrotta) o infine davanti alla plancia gialla
attaccata sul treno Milano-Lecce che Roland Barthes osserva nella stazione
meneghina. Luoghi, personaggi, caratteri, storie e microstorie narrate da punti
di vista, ispirazioni e prospettive diverse con dettagli, curiosità e qualità
letterarie diverse. Vado a Lecce è infine un invito a custodire la memoria e la
bellezza della città, un invito ai cittadini, leccesi e non, a scrivere altri e
nuovi racconti della città con le proprie immagini e impressioni, con il
proprio stile e punto di vista per un progetto artistico e letterario che può e
deve diventare condiviso e partecipato attraverso il coinvolgimento di nuovi
attori.
Franco Ungaro vive a
Lecce. È stato sino al marzo 2015 direttore dei Cantieri Teatrali Koreja di
Lecce. Oltre a numerosi articoli su quotidiani e riviste locali e nazionali, ha
pubblicato Dimettersi dal Sud (2006) e Lecce sbarocca (2011).